In Prima Commissione che ha discusso i disegni di legge proposti da La Civica e Patt
Braccio di ferro sul ritorno alla terza preferenza
In allegato, la convocazione dell'organismo con i testi dei provvedimenti esaminati
In
Prima commissione quest’oggi
si è svolta
la discussione generale
sul
ritorno alle tre preferenze, di
cui almeno una di genere,
sulla
scheda
elettorale previsto
dal
ddl unificato
n. 5
proposto
dalla
Civica e dal
Patt. La consigliera Patt ha affermato, in apertura
di una seduta
dai toni vivaci,
che la proposta nasce dall’analisi delle
elezioni del 2018 che
ha portato a ripensare, soprattutto in seguito all’effetto che
ha avuto sui
territori, la
doppia preferenza di genere che venne approvata
nella primavera del 2017.
La terza preferenza contenuta
nel ddl, ha
ricordato, prevede
un’ alternanza di
genere, quindi non
intacca il principio di parità.
Cinque Stelle: va ripensata
l’intera legge elettorale.
Il consigliere di 5 Stelle,
che ha depositato 12
emendamenti in commissione, ha ricordato che il ddl, rispetto al
testo iniziale firmato dall’attuale consigliere di Azione, è stato
stravolto perché,
oltre alla terza preferenza, mirava al ritorno al proporzionale.
Proporzionale
che porterebbe ad un riequilibrio tra assemblea legislativa e governo
; equlibrio che
è stato ulteriormente compromesso dall’abolizione della
“porta girevole” (la sostituzione del consigliere che veniva
nominato assessore).
Per il consigliere si dovrebbe tornare ad una “porta tra
Giunta e Consiglio ma non
girevole”, cioè senza la possibilità degli assessori di tornare
in Consiglio, oppure
all’elezione diretta di tutta la Giunta. Del resto, ha continuato,
una governo provinciale
che emana 15 mila delibere all’anno ben difficilmente, come
dimostrano i fatti, può seguire i lavori legislativi. Quindi, per
l’esponente 5 Stelle, limitando l’originario
ddl Patt alla sola
terza preferenza si è persa l’occasione per ripensare la legge
elettorale. Allargando
il ragionamento si
sarebbe potuto inserire, sul modello lombardo, un ufficio delle
prerogative dei consiglieri che esiste
per i deputati e i
senatori. Si sarebbe potuto
intervenire, ha continuato, sul piano dell’ informazione elettorale
e sulla digitalizzazione, in
particolare per assicurare il diritto alla conoscenza e alla verifica
dei programmi dei candidati che oggi non si riescono a trovare nella
rete. C’è poi il
capitolo del voto per corrispondenza (interessa i 22 mila iscritti
all’Aire) che, per il
consigliere pentastellato,
andrebbe esteso anche alle provinciali e ai referendum in
ottemperanza al dettato costituzionale. Per
ciò che riguarda gli emendamenti
del consigliere
pentastellato, i
principali mirano a introdurre il voto disgiunto che, ha
affermato,
aprirebbe spazi democratici di scelta; l’ineleggibilità dei
sottosegretari; l’obbligo della composizione delle liste in ordine
alfabetico; la
riduzione a 20 dei candidati per evitare le candidature “riempitivo”.
Infine, l’allargamento
a 4 dei
voti di preferenza, due dei quali di genere, l’annullamento di
tutte le preferenze nel
caso di non rispetto della norma.
Ultimo emendamento presentato dal consigliere 5 Stelle riguarda
l’introduzione del voto per corrispondenza.
Il Pd: un attacco alla
parità di genere che
riporta indietro il Trentino.
La capogruppo Pd ha affermato
che il ddl unificato porta un attacco alla parità di genere. Il
vantaggio maschile nella
nostra società è
evidente a partire dell’uso al maschile dei termini e dalla
profondità della tradizione patriarcale. Un
patriarcato radicato nella nostra
cultura del quale
questo ddl, proprio
perché proposto da due donne,
è una dimostrazione
lampante. Con la terza
preferenza, ha continuato, si introduce
il concetto di quota cancellando quello
di parità di genere che si incarna nel principio del 50% delle
possibilità che la
doppia preferenza tutela. Il ddl, ha
detto ancora, fa fare
al Trentino un passo indietro. E
questo per correggere
una norma alla quale si sono adeguate, in base all’indicazione del
Governo, quasi tutte le
regioni. In
Puglia addirittura il Governo
si è avvalso del potere sostitutivo per introdurre la seconda
preferenza. Il ddl
unificato Civica –
Patt, inoltre,
per l’esponente dem cerca
di riproporre le cordate maschili nei piccoli territori tagliando
fuori le donne.
Insomma, per la
capogruppo Pd, una
proposta contro l’Agenda 2030, contro
tutte le indicazioni europee
e motivata solo dalla
volontà di tornare al l’egemonia maschile. Egemonia
che in Trentino è
ancora forte: basti pensare che le
donne sindaco
sono l’11% contro
il 14% del resto del
Paese; che la presenza femminile nei
consigli
comunali è del 28%
contro il 31%. In
Consiglio
provinciale, invece,
ci sono 9 donne su 35,
un numero più
alto
rispetto alle altre realtà regionali a
dimostrazione che la
doppia preferenza di genere ha funzionato. Inoltre,
la consigliera ha ricordato che in
audizione il prof. Vezzoni ha affermato che i dati statistici
testimoniano che gli elettori non esprimono più di una preferenza e
quindi non ha senso preoccuparsi di arrivare a tre. Mentre,
dati alla mano, le
leggi che condizionato per genere il voto servono
a creare l’abitudine
a sentirsi rappresentati non solo da un genere. Il
ddl in discussione,
invece, cancella i passi avanti e ci fa ritornare al clima
tradizionale. Contro
l’Europa e la Costituzione
mira alla normalizzazione della
subalternità femminile e al ritorno della superiorità maschile.
Lo Stato ha chiesto alle Regioni di adeguarsi nelle
norme elettorali alla
parità e noi, che
siamo stati i primi, vogliamo tornare indietro su una legge che ha
permesso anche al centro destra di portare in Consiglio donne. La
doppia preferenza, ha ricordato
in conclusione, venne
approvata con l’aiuto e il consenso di tutte le consigliere
e oggi, con grande amarezza e tristezza, sono
due donne a
proporne la cancellazione.
Un ferita
che peserà sulle future generazione che dovranno subire ancora
la cultura patriarcale e maschilista.
Futura:
una proposta frutto di una cultura patriarcale e sessista.
Il
consigliere di Futura, condividendo l’amarezza della collega del
Pd, ha anche lui sottolineato il fatto che questo ddl ha il paradosso
di avere al primo posto
le firme di due donne
secondo lui
vittime anche loro della
cultura patriarcale e sessista. Quella
cultura che spinge le
donne a farsi
chiamare al maschile
per sentirsi
parte di un mondo dominato dagli uomini. Un
fenomeno, ha detto, che vale anche
per gli omosessuali
emancipati che “sparano” sugli omosessuali e
per gli emigrati integrati che se la prendono con i migranti.
Un
ddl, ha continuato, che
va in contro tendenza: contro l’Agenda
2030 e il Pnrr e la via
lungo
la quale si sta
muovendo il mondo
intero. Col ddl viene contraddetta la direzione verso la quale
sono già andate 16 regioni che hanno capito che c’è la necessità
di un’eguaglianza sostanziale; principio, tra l’altro, sancito,
in più articoli,
dalla Carta costituzionale. La
doppia preferenza, ha
aggiunto, ha dimostrato la necessità di norme che garantiscano le
pari possibilità e non due su tre. Perché gli studi ci dicono che
le tre preferenze portano un netto vantaggio agli uomini. Il
professore Vezzoni, ha
detto l’esponente di Futura,
ha ricordato in
commissione che
le tre preferenze sono un falso bisogno. Non solo, ma gli studi
dicono che nel caso dell’espressione di tre preferenze due vanno
quasi sempre
agli uomini. Insomma, anche
per l’esponente di Futura, il
ddl va a rafforzare una cultura patriarcale e, ha detto ancora, non
si possono prendere ad esempio i paesi, come l’Islanda, dove la
preferenza di genere non c’è, ma è stato fatto un lavoro
culturale fin dagli anni ‘60 che
comunque, come si è
visto, non ha ancora
permesso di arrivare alla meta della maggioranza delle donne in
parlamento. Infine,
il rappresentante di Futura, esprimendo il suo appoggio a buona parte
degli emendamenti di 5 Stelle, ha depositato i suoi quattro.
La Lega: le imposizioni non
aiutano le donne.
La capogruppo della Lega ha
detto di essere d’accordo sul fatto che c’è
un problema culturale,
ma le proposte normative
in materia, come è
stata quella della
doppia preferenza, sono influenzate da scelte ideologiche che
alla prova dei fatti non producono risultati ma limitano la libertà
di scelta degli elettori.
Non a caso, ha detto
ancora, la maggior
parte delle donne sono state elette in un partito definito
maschilista e sessista
come la Lega. Per
l’esponente leghista ci
deve essere la libertà di voto e si
deve prendere atto che se
le donne sono in minoranza significa anche che le donne votano gli
uomini. Ma questo è un
tema culturale che non si può affrontare introducendo
obblighi pesanti
e, ha ricordato,
nella proposta delle tre preferenze c’è comunque
quello di esprimere
almeno una preferenza di genere. L’obiettivo delle
leggi elettorali, ha continuato,
dovrebbe essere quello di allargare la possibilità di scelta
dell’elettore.
Inoltre la
capogruppo della Lega
ha affermato di
essere contraria alla declinazione al femminile delle cariche, fatto
puramente ideologico
che non incide sulla sostanza. Si deve, invece,
fare un lavoro culturale che da
noi è partito tardi,
ma che non
si può portare avanti con
imposizioni per di più a danno della libertà
di scelta. Insomma, ha
concluso, l’imposizione non aiuta le donne, tanto che non c’è
stato un boom di elette, così come non le aiuta il vittimismo.
Il consigliere della Lega ha
ricordato che il sistema che si vorrebbe introdurre è quello con il
quale si vota per il Parlamento europeo, quindi è perfettamente
legittimo. Per questo ha auspicato che si arrivi presto in aula per
evitare modifiche delle leggi elettorali a ridosso delle elezioni.
La
proponente del Patt ha lasciato la seduta: serve un dialogo
rispettoso.
La
proponente del Patt ha preso le distanze dalle affermazioni della
capogruppo della Lega e ha chiesto, come ha fatto la presidente della
commissione, un confronto rispettoso e dialogante. Per
questo, visto il clima
di contrapposizione, ha lasciato la commissione.
Azione: persa l’occasione
di aprire un dibattito sulla rappresentanza.
Il consigliere di Azione, ha
affermato che il ddl a sua
firma, è stato depositato
il 2 gennaio del 2019 ed è rimasto poi
in un cassetto fino a
quando nel novembre
2020 la rappresentante della Civica ha preso l’articolo sulle tre
preferenze e lo ha
trasformato nel suo
ddl. Bastava fare un dibattito su un ddl esistente, emendarlo, senza
presentare un altro ddl quasi eguale, e si sarebbero tagliati i
tempi. L’esponente di Azione ha ricordato di aver ritirato la sua
firma sul ddl dopo il suo passaggio al Gruppo Misto consegnandolo
alle decisioni del
Patt. Nel merito ha ricordato che il disegno di legge originariamente
prevedeva il ritorno al proporzionale, scelta
che avrebbe permesso una discussione approfondita sul
tema fondamentale della rappresentanza.
Per fortuna, ha aggiunto, ci sono gli
emendamenti di 5 Stelle
che allargano la discussione al voto dei trentini all’estero e alla
questione della visibilità del programma del presidente della Pat,
pensando magari alla
possibilità di una verifica dei cittadini dello stato di
realizzazione degli
impegni elettorali. Per
l’esponente di Azione il ddl unificato
in discussione è
invece
irrispettoso della possibilità di aprire un ragionamento sul
problema della rappresentanza, riducendo
tutto al confronto, anzi allo scontro, ideologico
Perdendo di vista, tra
l’altro, che la terza preferenza
aprirebbe la strada a cordate femminili, lasciando
aperta la possibilità
della
una doppia preferenza di genere. Insomma,
per l’esponente di Azione, si
è arrivati alla battaglia di bandiera anche a causa della
presentazione del ddl della Civica che è andato secco sulla terza
preferenza. Infine,
convinto che si è persa l’occasione di un confronto
approfondito, ha
annunciato la sua astensione. In chiusura,
la capogruppo Pd ha ingraziato la presidente che ha permesso un
grande approfondimento del tema. La
discussione sul ddl riprenderà in una prossima seduta della Prima
commissione.