In Prima Commissione via libera a Laura Strada e Stefano Zecchi nel cda del Muse
Sui 2 ddl per ridurre il quorum dei referendum altro esame il 15 maggio. Voto finale a fine giugno
Documenti allegati. Ipotesi testo unificato se vi sarà un'apertura da parte della Giunta
In
tema di quorum per la validità dei referendum abrogativi, quando
mercoledì 15 maggio la Prima Commissione, riunitasi oggi, si
ritroverà nuovamente a palazzo Trentini saprà se la Giunta avrà
deciso di non scostarsi dalla disponibilità ad abbassare fino a non
più del 40% la soglia che oggi per la validità delle consultazioni
popolari la legge provinciale 3 del 2003 fa coincidere con la
partecipazione della maggioranza degli aventi diritto al voto, oppure
di contribuire alla ricerca di una mediazione tra di due ddl
attualmente in discussione. Mediazione che potrebbe permettere alla
Commissione di lavorare all’unificazione dei due testi proposti
entrambi da consiglieri di minoranza, ma aderenti a gruppi diversi.
Si tratta dei ddl 2 del Movimento 5 stelle, sottoscritto anche da
Futura 2018, Autonomisti popolari e da due esponenti del Patt. E del
ddl 6 promosso dai 5 rappresentanti del Pd. Testi accomunati solo
dall’obiettivo di modificare la normativa provinciale in materia
(la lp 3 del 2003), ma nettamente distinti nella scelta del “fino a
dove” abbassare l’asticella del quorum. Oggi la soglia della
maggioranza degli aventi diritto al voto è da tutti giudicata troppo
alta. Ma il ddl dei 5 stelle, che era nato 7 anni fa da un’iniziativa
popolare con il sostegno di migliaia di firme, la cui versione
originaria prevedeva l’azzeramento del quorum, è stato poi
“ammorbidito” nella scorsa legislatura e rilanciato in questa,
abbassa la soglia al 20% degli aventi diritto al voto. Il ddl del Pd
stabilisce invece che al referendum debba partecipare “almeno la
metà della percentuale media dei votanti sugli aventi diritto” che
si sono recati alle urne alle ultime elezioni provinciali. La Prima
Commissione ha effettuato oggi le audizioni con il professor Toniatti
dell’Università di Trento e con Daniela Filbier, referente dei
firmatari della petizione popolare 1 a sostegno del ddl dei 5 stelle.
L’apertura
dell’assessore ad una valutazione della proposta del capogruppo del
Pd.
A
riservarsi di valutare con l’esecutivo e la maggioranza la
possibilità di non ribadire il quorum che per la Giunta non dovrebbe
scendere sotto il 40%, trovando un punto d’incontro tra i due ddl,
è stato oggi l’assessore agli enti locali, riassetto istituzionale
e rapporti con il Consiglio, al termine della seduta della
Commissione, alla quale è intervenuto. La sua apertura è emersa a
fronte della proposta avanzata dal capogruppo del Pd, di prendere in
considerazione una “terza via” rispetto ai due provvedimenti in
discussione. Quale? Il disegno di legge attualmente all’esame del
Parlamento, frutto anch’esso di mediazione politica, che prevede di
considerare validi i referendum abrogativi in Italia a due
condizioni: che i “sì” superino i “no” e che siano espressi
da almeno il 25% degli aventi diritto al voto. In tal modo alle urne
saranno sollecitati a recarsi molti più aventi diritto, non solo tra
i favorevoli ma anche tra i contrari al quesito, se vorranno
prevalere sui “sì”. Si supererebbe in tal modo – ha spiegato
il capogruppo del Pd – l’effetto distorsivo astensionistico
prodotto dall’attuale quorum, troppo elevato, della partecipazione
del 50% più uno degli aventi diritto al voto, imposto per poter
considerare validi i referendum abrogativi. Soglia che induce i
contrari ad astenersi e a lavorare per l’astensione caricando sulle
spalle dei favorevoli non solo la responsabilità di far vincere i
“sì”, ma anche l’onere di portare alle urne la maggioranza
assoluta degli aventi diritto, compreso chi è deciso a votare “no”.
Mission impossible. “Si è arrivati così – ha concluso
l’esponente del Pd – prima allo svuotamento e poi alla fine
dell’esperienza del referendum abrogativo in Italia”.
Minoranze
alla ricerca di una possibile mediazione.
La
proposta ha incontrato il consenso dell’UpT, il cui rappresentante
ha considerato questa soluzione “un buon compromesso” perché si
otterrebbe un “quorum qualificato” e ci si avvicinerebbe alla
soglia del 40% degli aventi diritto al voto, al di sotto della quale
per ora la Giunta ritiene di non poter scendere.
Disponibile
a ragionare su soluzioni come questa si è detto anche il capogruppo
del Patt, tra i firmatari del ddl dei 5 stelle, “purché il
Consiglio porti a compimento il percorso legislativo”. Per questo
ha invitato la Giunta ad apprezzare la possibilità di arrivare, “con
un po’ di elasticità” e in tempi brevi ad aprire la strada alla
elaborazione, a partire dai due ddl, di una proposta unitaria,
evitando che vi siano vinti e vincitori. E dimostrando la capacità
di “sviluppare una mediazione virtuosa”.
L’assessore
ha precisato di non conoscere la proposta nazionale in discussione
sul quorum legato al 25% dei favorevoli, che va effettivamente nella
direzione di far partecipare il 50% degli aventi diritto. E si è
impegnato ad approfondire il tema con la Giunta senza precludere la
disponibilità ad una mediazione. “Sul tema – ha concluso – la
Giunta ha una posizione unitaria, ma ci confronteremo con la
maggioranza per valutare questa proposta”.
La
presidente della Commissione ha ricordato che questa dovrebbe essere
la seduta conclusiva, se il ddl dovesse andare in Aula in maggio. Se
invece si decidesse di cercare una formulazione nuova e condivisa
l’esame in Aula slitterebbe al mese prossimo.
Il
consigliere dei 5 stelle ha espresso la preoccupazione che dopo 7
anni di attesa il ddl non approdi ancora una volta in Aula. Per
questo ha inizialmente ribadito l’obiettivo di tener fermo il testo
da lui proposto. Tuttavia, dopo aver ottenuto da tutti la garanzia
che si tratterebbe di rinviare l’esame e il voto conclusivi in
Consiglio solo di qualche settimana (dalle sessione del 28, 29 e 30
maggio a quella del 18, 19 e 20 giugno) ha accolto la proposta di
lavorare ancora sul ddl in Commissione.
Il
primo firmatario del ddl del Pd ha ribadito la volontà di tentare la
strada di un ddl congiunto. Questo vuol dire rinunciare a volersi
limitare a sventolare la bandiera del quorum al 20%.
La
presidente della Prima Commissione ha osservato che la volontà
emersa non sembra essere quella di procrastinare e di “menare il
can per l’aia” ma di una mediazione politica intelligente per
raggiungere un risultato migliore. “Rimandare di una tornata il ddl
con questo impegno preciso non equivale a rimuovere il tema
dall’agenda”.
LE
AUDIZIONI
Poco
prima la Commissione aveva effettuato due audizioni, consultando sui
due ddl Roberto Toniatti, professore ordinario di diritto
costituzionale comparato presso la facoltà di giurisprudenza
dell’Università di Trento, e la referente dei firmatari della
petizione numero 1 a sostegno del ddl 2, Daniela Filbier,
accompagnata dall’ex parlamentare trentina Lucia Fronza Crepaz.
Toniatti:
si punti alla qualità della democrazia e ad un’identità politica
territoriale.
Toniatti
ha evidenziato come i due disegni di legge abbiano una portata
modesta perché non concorrono a modificare la forma di governo della
Provincia, che resta ancorata al modello della democrazia
rappresentativa, la cui forma è “semiparlamentare”. A suo parere
questi due progetti di legge considerano la democrazia diretta uno
strumento di integrazione e di correzione puntuale all’attuale
forma di governo contrassegnata dalla democrazia rappresentativa. I
due testi si dimostrano inoltre disattenti al fenomeno della
democrazia partecipativa, oggetto degli sviluppi innovativi più
rilevanti degli ultimi 10 anni. La democrazia partecipativa consente
infatti ai cittadini forme capillari e diffuse di coinvolgimento nei
processi decisionali. Il Trentino, ha ricordato il professore,
conosce varie forme di democrazia partecipativa, che però sono
occasionali. A suo tempo si era tentato di razionalizzare la materia:
nel maggio 2014 il Consiglio provinciale approvò la mozione 22 sulla
democrazia partecipativa e successivamente promosse una conferenza di
informazione sull’argomento. Il confronto tra diverse esperienze
regionali di altri Paesi europei, mostra che dare più spazio alla
democrazia partecipativa potrebbe attenuare il conflitto tra
democrazia rappresentativa e democrazia diretta. Toniatti ha poi
riassunto le sue osservazioni puntuali agli articoli dei due ddl
(vedi il documento allegato, da lui distribuito alla Commissione) e
risposto alle domande dei consiglieri.
La
discussione con il professore.
Il
consigliere dei 5 stelle, primo firmatario del ddl 2, gli ha chiesto
cosa pensi delle due due critiche più consuete rivolte agli
strumenti della democrazia diretta: la prima sostiene che in tal modo
piccole minoranze organizzare possono determinare le decisioni
riguardanti un’intera comunità; la seconda è che gli interventi
dei cittadini possono bloccare o rallentare l’attività legislativa
di un governo incaricato dagli elettori di attuare un programma.
Toniatti ha risposto che risposto che i cittadini hanno la
possibilità di contrapporsi al prevalere di minoranze organizzate e
che gli istituti di democrazia diretta hanno una funzione pedagogica.
Perché inducono ad informarsi e ad intervenire. L’indice di
successo della politica non è fare molte leggi ma leggi buone. In
secondo luogo secondo il professore è infondato il rischio che i
cittadini con la democrazia diretta impediscano ad una maggioranza di
governare. Con la democrazia diretta gli stessi cittadini che hanno
condiviso l’indirizzo programmatico di un governo hanno
semplicemente la possibilità di dissentire da alcuni obiettivi.
Condividere un indirizzo non significa automatico sostegno a tutte le
iniziative di un governo.
Alla
domanda di un consigliere del Pd sul tipo di quorum proposto dal ddl
da lui firmato, Toniatti ha risposto che l’indicazione di una
soglia del 20% o di un’altra simile va messa in rapporto a cosa si
vuole favorire. Il 50% del quorum di affluenza alle urne lascia la
produzione legislativa esclusivamente in mano al Consiglio e quindi
qualunque soglia inferiore a questa è meno restrittiva e
penalizzante per la democrazia. C’è poi a suo avviso un possibile
conflitto di interessi per un Consiglio provinciale che legifera in
materia di democrazia diretta e approfitta della potestà di
disciplinare la materia per trattenere il più possibile per sé
questo potere.
Ad
una consigliera della Lega che ha chiesto se con un abbassamento così
drastico del quorum si rischi un abuso dello strumento referendario,
il professore ha risposto che va apprezzato il fatto che la
democrazia diretta susciti il confronto tra i cittadini a prescindere
da chi vinca un referendum. E poi anche se vi può essere un abuso
non è detto che questo si traduca in vittorie referendarie.
L’obiettivo non è la vittoria ma la crescita culturale dei
cittadini. Del resto l’abuso può esservi anche nel caso di un
Consiglio che non produca leggi quando ve ne sarebbe bisogno. Per
Toniatti l’obiettivo che si dovrebbe porre una comunità piccola
come il Trentino dovrebbe essere quello della “qualità” della
democrazia. Si tratta di trovare un sistema equilibrato di strumenti
di partecipazione per favorire il raggiungimento di questo obiettivo.
Correndo anche il rischio dell’abuso che però può produrre buoni
risultati.
Il
capogruppo di Futura 2018 ha chiesto a Toniatti se ha qualche strada
da suggerire perché si vada verso una riforma più strutturale e la
qualità della democrazia. Toniatti ha detto di non avere consigli
da dare in tal senso, ma ha ribadito che a suo avviso l’attuale
democrazia rappresentativa si dovrebbe integrare con la democrazia
partecipativa. Al riguardo ha ricordato che nei primi anni ‘90
l’allora consigliere regionale Benedikter disse di essere contrario
alla democrazia diretta, aggiungendo però che sarebbe favorevole se
questa fosse espressione di una cultura politica alpina. La sua frase
esprimeva l’idea di una identità politica territoriale. La domanda
da porsi allora è: il Trentino ha una sua identità politica
territoriale? Se il rifiuto dell’omologazione nazionale dovesse
passare anche attraverso istituti di partecipazione più diretti e
articolati dei cittadini, coinvolgendo i territori, questo a suo
avviso sarebbe positivo. Ecco perché secondo Toniatti converrebbe
utilizzare vari strumenti partecipativi.
Più
Democrazia: imitare la legge approvata dalla Provincia di Bolzano.
Daniela
Filbier, referente dei firmatari della petizione numero 1 presentata
a sostegno del ddl 2, accompagnata dall’ex deputata Lucia Fronza
Crepaz, ha ricordato che questa è la terza legislatura in cui il
tema della modifica della normativa sul referendum è sottoposto
all’attenzione del Consiglio provinciale. “I risultati in questi
7 anni di lavoro di Più Democrazia – ha osservato – sono stati
pari a zero. Miglio è andata in campo comunale grazie ad un
intervento legislativo regionale del 2014. l’abbassamento per legge
al 25 e 30% del quorum nelle amministrazioni locali di tutta la
regione è stato un importante progresso in termini di democrazia
diretta. Nella provincia di Bolzano nel luglio 2018 la legislatura si
è chiusa con l’approvazione in Consiglio di una legge sulla
democrazia diretta completa e strutturale. Il quorum è stato fissato
al 25%. A Trento nello stesso periodo il Consiglio provinciale ha
invece rifiutato di discutere del tema in Aula. La petizione lanciata
da Più Democrazia nel novembre scorso ha chiesto di tornare a
parlarne in questa legislatura ripartendo dal punto in cui si era
rimasti. Ha riconosciuto all’ex presidente della Provincia di aver
favorito il negoziato per accogliere questa proposta di ddl
“minimale”. Ora Più Democrazia chiede che l’Aula si esprima in
modo trasparente sull’argomento. E in particolare su 7 punti
qualificanti: l’abbassamento del quorum al 20% (già frutto di un
negoziato perché Più democrazia chiedeva il quorum zero); una
Commissione per i referendum istituita a inizio legislatura;
l’ampliamento della finestra di celebrazione dei referendum
nell’arco di una legislatura (tenendo conto, ad esempio che il
Svizzera le votazioni per i referendum sono previste 4 volte all’anno
e sono già programmate per i prossimi 20 anni); una informazione
pubblica di qualità perché democrazia diretta non è democrazia
digitale o dei clic. La tecnologia è solo uno strumento (in Svizzera
il voto avviene per via postale); non è plebiscitaria, non è
assemblearismo. Gli istituti referendari sono stati creati per essere
nella disponibilità dei cittadini e delle minoranze. Le richieste di
referendum devono venire dai cittadini. I plebisciti vengono dal
potere politico. La democrazia diretta è una metodologia precisa e
rigorosa che evita e riduce al minimo questi rischi. In questo
l’informazione svolge un ruolo importantissimo.
Fronza
Crepaz ha aggiunto due ragioni per incoraggiare l’approvazione di
questo ddl: la prima è che democrazia diretta non è contro la
democrazia rappresentativa ma aiuta quest’ultima a svolgere il
proprio compito e a raggiungere i propri fini; in secondo luogo le
persone hanno voglia di partecipare se però vi è potere sul tavolo.
Non si può chiedere partecipazione se non vi è davvero possibilità
di partecipare e di incidere sulle decisioni. La democrazia diretta è
un modo per portare alla luce e dentro il dovere di prendere
decisioni il sapere diffuso dei cittadini. I cittadini devono poter
disporre di canali regolati per poter dire la loro. Fronza Crepaz ha
concluso: se la partecipazione non la regolate, la subirete.
La
discussione. L’esame finale in Aula a fine giugno.
Il
capogruppo del Patt ha ricordato i dubbi manifestati alla fine della
precedente legislatura in merito a questa proposta normativa. La
firma da lui posta oggi in calce al ddl 2 indica un sostegno ai
promotori dell’iniziativa popolare. Ha ricordato che nella passata
legislatura il ddl non era approdato all’Aula non perché la Giunta
l’abbia impedito, ma perché non vi erano garanzie che il testo
approvato in Commissione sarebbe stato rispettato. E perché alcune
parti politiche dichiararono che quel livello di mediazione raggiunto
non era soddisfacente. Il capogruppo del Patt ha anche chiesto come
intendano muoversi i firmatari della petizione rispetto alle
difficoltà emerse in Prima Commissione in merito al quorum indicato
dal ddl 2.
Il
capogruppo del Pd ha illustrato la ratio del ddl del proprio gruppo,
ispirato ad una proposta di Augusto Barbera: si prende il livello di
partecipazione dei cittadini nell’ultima votazione, e si considera
la metà più uno del tasso di partecipazione. Ha poi segnalato
l’esistenza di una terza proposta oggi all’esame del Parlamento.
Il criterio di questa proposta è nuovo e interessante: per
considerare valido un referendum i sì devono essere più dei no e
rappresentare almeno il 25% degli aventi diritto al voto. E ha
chiesto cosa pensino i firmatari della petizione di questa proposta.
Filbier,
a proposito della possibilità di alzare il quorum del 20% proposto
dal ddl sostenuto dai firmatari della petizione popolare, ha risposto
che sarà l’Aula consiliare a decidere se questa soglia va bene o
meno. La responsabilità sarà individuale e politica di ciascun
consigliere. L’importante è che i consiglieri valutino le ragioni.
“Non è un mercato, perché al di del 20, del 25 o del 28% ogni
consigliere esprimerà una valutazione politica e una visione del
mondo. Perché la questione non è trovare il modo migliore per
evitare “incursioni” dei cittadini, ma rispondere alla domanda se
si vuole o non si vuole favorire la loro partecipazione alla vita
politica. “Deciderete voi: noi ci riserviamo la libertà di dire se
la legge ci piace o non ci piace”. Infine ha citato il caso del
Comune di Cavalese, dove il quorum per il referendum del 30% non è
stato superato per 65 voti. Il quorum per i firmatari della petizione
“è comunque e sempre lesivo della democrazia”, e la sua non
opportunità è stata evidenziata dalla Commissione di Venezia.
Non
piace quindi, ai firmatari della petizione sulla democrazia diretta,
il “quorum qualificato” proposto dal capogruppo del Pd e oggetto
del ddl all’esame del Parlamento. Per loro il testo è frutto di
un negoziato con il Pd accettato dal ministro per arrivare ad una
formulazione quanto più condivisa possibile senza dover chiedere la
fiducia. Certo il quorum qualificato sarebbe comunque migliorativo,
ma in Italia il problema è che gli istituti referendari non sono
pienamente godibili a causa delle modalità di accesso. Dunque il
problema esiste: questa assemblea legislativa intende affrontarlo e
parlarne?
Fronza
Crepaz ha ricordato che il quorum in origine era frutto della
situazione dell’Italia del Dopoguerra, quando la percentuale di
partecipazione al voto era altissima. Oggi la situazione è molto
cambiata e la legislazione sul referendum dovrebbe prenderne atto
anche in materia di quorum. “La questione è vostra – ha
concluso: abbiate coraggio”.
Il
consigliere 5 stelle ha presentato alcuni emendamenti al proprio ddl
con cui intende recepire altre due proposte dei firmatari della
petizione popolare sulla democrazia diretta: la prima per chiedere
una semplificazione nella presentazione delle firme a sostegno della
richiesta di referendum, perché le certificazioni elettorali dei
promotori siano produrre dalla pubblica amministrazione; la seconda
sull’informazione istituzionale da garantire in occasione dei
referendum anche attraverso appositi opuscoli da distribuire ai
cittadini perché possano votare consapevolmente. Norme queste già
introdotte dalla Regione Valle d’Aosta e in Provincia di Bolzano.
L’assessore
ha apprezzato le audizioni ma ribadito la non condivisione della
Giunta alle proposte legislative emerse. Ha contestato in particolare
l’affermazione del professor Toniatti secondo cui un quorum basso
avrebbe una funzione pedagogica. Sbagliato, a suo avviso, sostenere
che il quorum è addirittura lesivo della partecipazione, come pure
che se a prendere l’iniziativa di un referendum è il potere
politico la consultazione si trasforma in un plebiscito e ha quindi
una valenza totalitaria. Anche l’affermazione che per motivare la
partecipazione dei cittadini occorre mettere potere sul tavolo, non è
condivisibile. Infatti la partecipazione ha valore non solo quando
con l’esercizio di questo diritto si comanda. Apprezzabile, invece,
per l’assessore è l’affermazione di Toniatti che il Trentino
deve dotarsi di una propria identità politica territoriale, che
tuttavia non deve necessariamente essere quella della Svizzera anche
se lì referendum ha un ruolo importante per la democrazia. Non è
per pan-alpinismo che si può prendere come oro colato quel che fanno
gli altri. Infine a suo avviso nella nostra provincia non vi sono
difetti di partecipazione e di democrazia rappresentativa perché
ogni volta che il corpo elettorale viene attivato risponde. Certo vi
è un trend negativo anche nel Trentino, ma la partecipazione dei
cittadini alle consultazioni elettorali è comunque più alta che nel
resto d’Italia e dell’arco alpino. E ha concluso ribadendo la
disponibilità della Giunta a condividere una nuova legge se il
quorum fosse del 40%. Diversamente il parere rimarrà negativo.
L’esponente
dei 5 stelle ha ricordato sul quorum il parere espresso dalla
Commissione di Venezia, organo consultivo del Consiglio d’Europa
sulle questioni costituzionali, invitata a pronunciarsi nel 2014 in
merito al ddl da lui proposto. Il provvedimento venne giudicato in
linea con la posizione dell’organismo. Il consigliere ha aggiunto
che la soglia del 20% esprime la volontà di mediazione tra posizioni
altrimenti inconciliabili e che una ventina di anni fa la Baviera
adottò un quorum analogo, ottenendo il placet della Corte
costituzionale dello Stato. La Provincia dovrebbe quindi rifarsi alle
buone prassi del patrimonio costituzionale europeo. A suo avviso
Toniatti ha chiarito che lo strumento referendario è solo un piccolo
tassello per far progredire la democrazia rendendo partecipe il
popolo solo di alcune decisioni, come auspicato anche da Alcide
Degasperi, Mortati e don Sturzo. Uno studio dimostra inoltre che
proprio grazie ai referendum in Svizzera il cittadino medio è più
preparato del politico medio tedesco, avendo la possibilità di
esprimersi in modo assiduo su temi che lo riguardano direttamente.
Anche la performance economica di un territorio e la qualità dei
servizi della pubblica amministrazione migliorano perché vi sono
strumenti di partecipazione con soglie di accesso molto basse.
Il
primo firmatario del ddl del Pd ha spiegato che il provvedimento da
lui proposto non esalta il principio della sovranità popolare
rispetto a quella della democrazia rappresentativa ma cerca il
bilanciamento delle condizioni utili ad una democrazia di qualità.
D’altra parte l’obiettivo dei due ddl è lo stesso: abbassare il
quorum attuale rispetto a quello introdotto in una determinata
situazione storica. Per questo ha chiesto alla Commissione di
adottare un metodo di lavoro che permetta la ricerca di una proposta
congiunta attraverso una mediazione che tenga conto anche del ddl
all’esae del Parlamento.
La
presidente della Prima Commissione riconvocherà l’organismo il 15
maggio per proseguire l’esame che, a questo punto, determinerà lo
spostamento dell’esame finale in Aula del provvedimento o, nel caso
non si riuscisse ad elaborare un testo unitario, dei due disegni di
legge a fine giugno.
Strada e Zecchi nel cda del Muse: parere favorevole alle candidature della Giunta
Censura delle esternazioni di Sgarbi
Concluso
l’esame dell’ordine del giorno ordinario, la prima Commissione
permanente ha espresso un parere su un punto aggiuntivo, in materia
di nomine e designazioni, sulle candidature relative a due componenti
del consiglio di amministrazione del Muse.
Parere
favorevole (con astensione di Patt, PD, Futura e 5 Stelle), è stato
espresso su tutte le candidature, ad eccezione della posizione
dell’attuale presidente Marco Andreatta, che se indicato nuovamente
supererebbe il numero di anni di durata in carica consentiti.
Approvata con riserva la candidatura di Saveria Moncher, condizionata
alle dimissioni da revisore dell’Ispat, ovvero all’assumere
l’incarico a titolo gratuito. Le candidature indicate dalla Giunta
sono quelle della giornalista Rai Laura Strada e del noto
professore dal prestigioso curriculum Stefano Zecchi.
Il
consigliere del Patt ha motivato la propria astensione per una
contrarietà rispetto alla legge 10 che andrebbe a suo avviso
interamente riformulata e in seconda battuta perché critico rispetto
alla nuova tendenza della Giunta provinciale di affidare incarichi a
persone note a livello mediatico che testimoniano come il Trentino si
stia muovendo verso una “italianizzazione forzata”.
Il
consigliere del PD ha detto che è giusto che le nomine di
responsabilità della Giunta restino tali. Aprirsi è a suo parere
prova di saggezza, nei limiti del distinguo di cosa sia il meglio per
gli uni e gli altri. Rimane però il fatto, ha aggiunto, che sia
inammissibile che persone che vengono chiamate a dare il proprio
contributo al nostro territorio, si esprimano nei toni aggressivi ed
offensivi delle istituzioni che abbiamo letto oggi nelle
dichiarazioni di Vittorio Sgarbi.
Il
consigliere di Futura si è espresso con un voto di
astensione, in coerenza con quanto fatto con le altre nomine. Si è
associato al collega del PD nel raccomandare alla Giunta di
richiamare Vittorio Sgarbi ad un profilo istituzionale e di prendere
le distanze dalle gravissime esternazioni di ieri, riferite a
consiglieri provinciali, rappresentanti delle nostre istituzioni.
Astensione
anche da parte del consigliere 5 Stelle che ha aggiunto che
non stupiscono le esternazioni di Sgarbi che già si è distinto per
simili performance: nulla di nuovo dunque, ha detto,
richiamando le dichiarazioni di pari tenore rivolte in passato
dall’attuale Presidente del Mart agli elettori della Lega.