Il Consiglio ha respinto nel pomeriggio anche una proposta di Marini sulla difesa civica
Assegno di natalità, no al ddl di Olivi: resta legge il requisito dei 10 anni di residenza in Trentino
In allegato, l'ordine del giorno con i testi in discussione e l'intervento dell'assessore Spinelli
Toni
piuttosto accesi hanno segnato la parte conclusiva del dibattito
pomeridiano del Consiglio provinciale, che prima della sospensione
dei lavori (si riprende domani alle 10.00) ha respinto con i 19
voti contrari della
maggioranza e
11 sì
delle minoranze il
disegno di legge 104 proposto da Olivi (Pd) per modificare
alcune
norme provinciali con l’obiettivo di
ridurre da
10 a 2 anni
di residenza in Trentino il
requisito richiesto
alle famiglie per beneficiare dell’assegno di natalità.
Gli
esponenti dell’opposizione hanno bollato come razzista e
discriminatoria in particolare nei confronti delle persone
extracomunitarie – del
cui arrivo e della cui permanenza nel nostro territorio il Trentino
ha grande bisogno a fronte del calo della natalità e a sostegno
dell’economia – la norma
provinciale
che
il ddl mirava a ridimensionare e che la
magistratura ha
ordinato di rimuovere. Norma che la Giunta Fugatti ha fin’ora
solamente disapplicato con una delibera che ha valore amministrativo,
ma resistendo in appello contro
la sentenza –
come
ha ricordato nel suo intervento l’assessore Spinelli (testo
allegato)
–,
senza
rassegnarsi a modificare la legge. In
precedenza, nella prima parte del pomeriggio, il Consiglio aveva
respinto anche un disegno di legge proposto da Marini (Misto-5
Stelle) per integrare la legge provinciale sul difensore civico in
modo da prevedere la tutela delle persone anziani e fragili come gli
ammalati.
No
al ddl di Marini per la difesa civica in ambito sanitario e degli
anziani
Nel
primo
pomeriggio
il Consiglio ha esaminato e
respinto in
aula il
disegno
di legge 71 presentato
da
Alex Marini (Misto-5 Stelle),
già
bocciato
dalla Prima Commissione,
che
prevede di inserire
nella normativa provinciale
sul
difensore
civico del
1982
anche
la difesa
civica in ambito sanitario e la salvaguardia dei diritti degli
anziani. Nell’illustrare
il provvedimento formato
da 7 articoli,
Marini
ha
ricordato
che l’obiettivo
del
ddl è
di riprendere la legge della Regione Toscana entrata
in vigore prima della legge
nazionale Gelli-Bianco per
tutelare le persone
fragili ed esposte a vulnerabilità sociale attraverso
relazioni stringenti con l’azienda sanitaria.
Inoltre la volontà è di ridurre il fenomeno della “medicina
difensiva” che costa allo Stato circa 10 miliardi l’anno per
erogare prestazioni dirette non ad assicurare il benessere del
paziente ma a prevenire denunce e ritorsioni nei confronti
dell’operato delle aziende sanitarie. Secondo
Marini l’attuale figura del difensore
civico nel
Trentino
rappresenta
un potenziale inespresso, non è particolarmente riconosciuta né
dalla popolazione né dalle istituzioni e dalle pubbliche
amministrazioni. Per questo la normativa provinciale andrebbe a suo
avviso migliorata affidando al difensore civico la tutela degli
anziani e delle persone più fragili e vulnerabili. Per il
consigliere il difensore civico andrebbe inoltre valorizzato anche
per la tutela dei disabili. Marini ha poi ricordato i diversi e
interessanti pareri acquisiti sul ddl attraverso le audizioni
promosse in Commissione, che hanno mostrato come sia opportuno
privilegiare l’utilizzo
del difensore civico alla strada, più costosa, della tutela
in
sede giurisdizionale.
L’assessora
alla salute e al welfare Stefania Segnana
ha ricordato il parere negativo espresso dalla Giunta sul ddl in
Prima Commissione. Ha citato l’audizione del difensore civico
Gianna Morandi che aveva sottolineato come la collaborazione del suo
ufficio con l’azienda sanitaria sia stata ottima e abbia prodotto
buoni risultati. Quanto agli articoli, Segnana ha spiegato che la
figura del difensore civico non va appesantita con altre funzioni
anche perché già il lavoro del suo ufficio porta già avanti tutte
le pratiche senza difficoltà. La tutela dei diritti degli anziani è
inoltre una materia che rientra esclusivamente tra le competenze
statali e il ddl, se approvato, rischierebbe quindi di entrare in
conflitto con questa prerogativa. In ogni caso Segnana ha
riconosciuto che la discussione sul ddl è stata utile perché ha
contribuito ad affrontare una questione importante come questa.
Marini
ha
replicato all’assessora contestando l’affermazione che “va
tutto vene” e non ci sarebbe quindi bisogno di un ddl come questo.
Vi sono invece delle criticità che sono emerse dalle audizioni. E’
vero che il difensore civico è presidente della commissione
conciliativa dell’azienda sanitaria ma vi è una disposizione di
legge della Provincia sulla sanità che prevede una camera
conciliativa che non è mai stata attuata. La camera conciliativa non
è mai stata convocata. La Giunta ha la responsabilità di costituire
questo organo previsto dalla legge. Occorre assicurare un clima di
fiducia come previsto dall’articolo 12 della legge provinciale
sulla salute introdotta 12 anni fa e che su questo punto non è mai
stata attuata. Il disagio psico-sociale è andato accentuandosi negli
ultimi anni anche a causa della pandemia. Pur non approvando questo
provvedimento, secondo Marini la Giunta avrebbe almeno potuto
assumersi degli impegni sul piano se non legislativo almeno
amministrativo.
Sull’articolo
6 (tutela
persone anziane),
Paolo
Zanella
di Futura ha ricordato che così come nella nostra provincia esiste
un garante per la tutela dei diritti dei minori, un’analoga figura
di garanzia dovrebbe essere introdotta anche per gli anziani.
Respinto
il ddl
di Olivi per
la riduzione da 10 a 2 anni del requisito della residenza per poter
accedere all’assegno di natalità.
L’aula
ha poi esaminato e
respinto con 19 voti contrari e 11 a favore il
disegno di legge 104 proposto da Alessandro Olivi (Pd) per modificare
le normative
provinciali del 2011
e del
2016 riducendo
da 10 a 2 il requisito degli anni di residenza nel Trentino che
consentono di beneficiare del sussidio.
Olivi:
una brutta pagina per l’autonomia trentina
Il
consigliere
dei
dem ha
evidenziato questo secondo obiettivo, vale a dire che il ddl propone
di abolire dalla legislazione provinciale e in particolare dalla
legge 1 del 2011 il vincolo introdotto di 10 anni di residenza per
l’accesso agli incentivi alla natalità. La proposta nasce dalla
convinzione che si tratta di un vincolo inutile, sbagliato e
gravemente discriminatorio. Questo perché un simile vincolo
significa sventolare una bandiera o invocare in modo propagandistico
una sorta di primazia di appartenenza alla comunità trentina
escludendo delle famiglie e inoltre senza preoccuparsi di contrastare
la denatalità con azioni che invertano il trend demografico
negativo. IL ddl mira a rendere più armonico e giusto il sistema di
accesso ai benefici e alle misure varate dalla Giunta a sostegno
delle famiglie con figli, partendo dalla considerazione che i bambini
sono tutti uguali a prescindere dal numero dei 10 anni di residenza
in un territorio. Per questo anche la quota B dell’assegno unico
provinciale per l’educazione dei figli secondo Olivi si deve basare
sul requisito dei 2 anni. Questo anche coerentemente con l’assegno
universale introdotto dal legislatore nazionale, assegno di cui
l’assegno unico provinciale è stata un’anticipazione. Il
Trentino era ed è l’unica provincia che ha nella propria
legislazione una norma che subordina gli aiuti alle famiglie con
figli al requisito della residenza di almeno 10 anni nel proprio
territorio. Questa scelta escludente, quand’era stata introdotta,
era stata considerata sanzionabile perché contraria ai principi di
uguaglianza di tutti i cittadini rispetto alle misure sociali. E’
accaduto allora che il primo ricorso contro il vincolo dei 10 anni ha
ottenuto la censura della norma provinciale e il tribunale di
Rovereto ha ordinato all’amministrazione provinciale l’immediata
disapplicazione di questo dispositivo. Si è trattato di una brutta
pagina per la reputazione dell’autonomia provinciale che dispone di
un welfare rigoroso, serio, non assistenzialista che ha fatto della
solidarietà e dell’inclusione un elemento distintivo. La Giunta
provinciale si è trovata obtorto collo costretta ad adottare una
delibera che ha disapplicato in via amministrativo la norma censurata
dallo Stato perché discriminatoria. Tuttavia la norma sui 10 anni
nella legislazione provinciale c’è ancora. Olivi ha ricordato che
in Commissione la maggioranza ha preferito non accogliere la sua
richiesta di proporre un atto di coordinamento tra le norme. Sarebbe
stato giusto uniformare la legislazione provinciale a quella
nazionale riducendo il requisito della residenza da 10 a 2 anni. Dal
punto di vista istituzionale è per Olivi necessario che tale
decisione sia fatta propria dal Consiglio provinciale che a suo tempo
ha approvato la norma che è stata disapplicata e tuttavia ancora
esistente. Il carattere discriminatorio di questa norma impone di
toglierla dal nostro ordinamento. Cosa che sarebbe coerente con le
scelte compiute nel frattempo dalla Giunta in materia di misure a
sostegno delle famiglie. Dopo il bonus bebè infatti la Giunta ha
introdotto altre due misure: il prestito alle famiglie che prevede il
requisito dei 2 anni di residenza e il contributo una tantum per
dotare le famiglie numerose di risorse finanziarie fin dalla nascita
del terzo figlio o dei successivi con riferimento al reddito e a
coloro che risiedono da almeno 2 anni in Trentino. Sarebbe quindi una
brutta pagina per la Provincia se oggi si registrasse la chiusura
della maggioranza all’accoglimento di questo ddl che toglie dalla
legislazione il vincolo dei 10 anni attualmente disapplicato ma che
in presenza della norma potrebbe nuovamente essere applicato. Non è
vero insomma che non serve abolire questa norma perché già
disapplicata per via amministrativa. Questa norma infatti è stata
dichiarata discriminatoria. Olivi ha informato che questa mattina ai
capigruppo è pervenuta una nota da alcune associazioni, dai
sindacati, dalle Acli, dal Forum delle famiglie, dalla Commissione
pari opportunità e da don Cristiano Bettega, per correggere questa
distorsione che non è solo giuridica ma anche culturale. Si tratta
di uniformare il bonus bebè alle altre misure a sostegno delle
famiglie con figli prevedendo il requisito di 2 anni anche per la
quota B dove sono attualmente previsti 3 anni di residenza. Non è
politicamente discrezionale non intervenire per rimuovere
dall’ordinamento della Provincia una norma incivile, oscurantista e
discriminatoria come questa. Non c’era bisogno di attendere il
giudizio della magistratura per rimuovere il vincolo irragionevole
dei 10 se si vogliono sostenere le politiche di inclusione aiutando
le famiglie ad inserirsi nelle comunità. Olivi ha esortato a una
corale assunzione di responsabilità nel valutare questo suo ddl. Il
nostro Statuto di autonomia è un pezzo di quella Costituzione che
censura la legge provinciale.
Dalzocchio:
la scelta politica è tutelare chi da più tempo risiede in Trentino
Mara
Dalzocchio,
capogruppo della Lega, ha
letto la relazione di maggioranza sul ddl già esaminato dalla Quarta
Commissione. A suo giudizio, visto che da
un punto di vista giuridico le disposizioni non implicano alcuna
violazione di legge e considerato che la questione consiste
prevalentemente negli effetti discriminatori che le stesse
determinerebbero, non so capisce perché Olivi consideri
discriminatorio un periodo di dieci anni mentre non lo sarebbe quello
di due. Ragionando in questi termini, se l'elemento discriminante
fosse davvero il riferimento temporale, questo andrebbe del tutto
rimosso dalla legge. La previsione del periodo di dieci anni, poco
significativa dal punto di vista giuridico, consiste di fatto nel
risultato di una scelta politica che vuole meglio tutelare quei
cittadini che da più tempo risiedono sul territorio.
Spinelli:
la Giunta ha presentato un ricorso in appello di cui ora attendiamo
l’esito
L’assessore
Achille Spinelli,
(in
allegato, il testo del suo intervento), dopo
una breve sospensione dei lavori da lui richiesta per
fornire
chiarimenti alla maggioranza,
ha ricordato
che
la Giunta si è adeguata alle sentenze ma non ha rinunciato a fare
appello a
difesa della scelta del requisito
dei 10 anni. E
lo ha fatto ritenendo
che sia un suo diritto
adottare regole provinciali in quest’ambito. Sul ddl Spinelli è
poi entrato dettagliatamente
nel
merito dei 2 articoli del provvedimento di
Olivi spiegando le
ragioni del
no della
Giunta a
questa proposta.
Ora
– ha
concluso – la Giunta attende
l’esito del contenzioso dovuto
al ricorso in appello.
Le
minoranze: scelta sbagliata dal punto di vista demografico ed
economico.
Ugo
Rossi
(Misto-Azione) ha giudicato sbagliata la norma sui 10 anni di residenza
chiesti per l’accesso all’assegno di natalità innanzitutto dal
punto di vista etico. Mettere non 2 o 3 anni ma 10 significa voler
marcare una differenza troppo forte dando l’idea che si voglia
proprio discriminare. Ma l’errore di questo requisito è anche
pratico. Perché se l’obiettivo è aumentare i tassi di natalità
in Trentino, il requisito dei 10 anni scoraggia le famiglie straniere
che vogliono rimanere e decidono di vivere nella nostra provincia ad
avere figli. E questo nonostante nel nostro territorio vi sia un gran
bisogno di forza lavoro.
Lucia
Coppola
(Misto-Europa Verde) ha osservato che 10 anni sono un tempo infinito
che sottraggono un diritto importante alle famiglie e ai loro
bambini. “Perché – ha chiesto – dare all’esterno l’immagine
di un Trentino ostile, chiuso e incapace di riconoscere a tutti i
bambini gli stessi diritti? Il punto non è essere di destra o di
sinistra ma di considerare le persone senza distinzioni esseri umani.
Sono profondamente delusa – ha concluso – e un po’ mi
vergogno”.
Alex
Marini (Misto-5
Stelle) ha invitato a considerare le dinamiche demografiche che sono
le stesse in Trentino come in Italia. Siamo in presenza di una crisi
demografica evidenziata con
dati precisi dall’ultimo
rapporto Istat. Nel
2070 in Italia con il trend demografico attuale la popolazione si
ridurrà a 47 milioni di persone. Anche in Trentino il decremento
demografico sarà particolarmente spinto. Il numero degli anziani è
in rapida crescita. A fronte di questa crisi demografica la Giunta
decide di discriminare le famiglie nel momento in cui hanno bisogno
di aiuti e sostegni per la natalità. Vi sono molti trentini che se
ne vanno dalla nostra provinciale e molti stranieri che arrivano nel
nostro territorio. Le famiglie straniere hanno mediamente un titolo
di studio e un reddito più basso di quelle italiane. Le donne delle
famiglie straniere molto spesso non hanno neanche un’occupazione. A
questa situazione la Giunta non risponde.
Paolo
Zanella
(Futura) ha osservato che la politica oggi dovrebbe basarsi nel
prendere decisioni sull’andamento demografico. L’Italia ha dagli
anni ‘90 ha un saldo tra nati e morti e solo i migranti hanno
evitato una decrescita grave. Dal 2017 in Italia si è registrato un
calo della popolazione di 1 milione e 200 mila persone. Far politiche
razziste che escludono le persone non invoglia i migranti a venire in
Trentino. Ma avere una popolazione attiva è
decisivo
per
lo sviluppo di una società. Porre un discrimine di 10 anni di
residenza per poter chiedere la cittadinanza vuol dire essere l’unica
realtà del Paese ad aver adottato un criterio di queste dimensioni.
Questa norma è razzista e ideologica. Nel Veneto e in Lombardia non
esiste un criterio come questo dei 10 anni. Le politiche del governo
Meloni e della Giunta Fugatti mostrano che non si vuol capire che al
nostro Paese e al Trentino serve una popolazione attiva, occorrono
persone che lavorino. Non si può chiedere la patente di trentino doc
per poter vivere nel nostro territorio se vogliamo aumentare la
popolazione attiva nei prossimi 30 anni. Il Trentino è così poco
attrattivo che gli stranieri nel nostro territorio sono calati di
oltre 500 unità. La questione non è di umanità ma economica, per
avere una popolazione attiva rispondente alla domanda delle imprese e
dell’industria.
Lucia
Maestri (Pd)
ha sottolineato come finalmente l’Italia si sia dotata dell’assegno
unico con una legge voluta dal quel governo Draghi che in quest’aula
ha avuto anche dei picconatori. L’assegno unico è uno strumento
bellissimo e fondamentale per Maestri e in Consiglio è stato con
l’assessore Olivi che questa norma è stata introdotta. Una norma
che ha per beneficiari i figli e le figlie indipendentemente dalla
condizione economica delle famiglie a partire dai due anni di
residenza anche non continuativa nel territorio italiano. Se sono i
figli i destinatari, come si può discriminare tra figli? Come si fa
a mantenere in vita una legge che discrimina tra figli? Questa norma
deriva da una precisa scelta politica per meglio tutelare i cittadini
trentini che da tempo risiedono nel nostro territorio. La norma sul
requisiti 10 anni è una forma di discriminazione istituzionale che
distingue tra italiani e stranieri credendo di lisciare il pelo a una
parte dell’opinione pubblica. L’assegno unico riconosce pari
opportunità di accesso ai progetti di vita che riguardano i figli.
Olivi
ha
osservato che l’intervento dell’assessore Spinelli è stato
“puramente
tecnico mentre questa è una questione politica”. A
ben guardare però secondo Olivi una risposta politica della Giunta
c’è stata,
perché ricordare come
ha fatto Spinelli di
aver presentato appello contro le sentenze vuol dire difendere la
scelta dei 10 anni di residenza. Inoltre
la Giunta non ha voluto ascoltare gli appelli presentati dalla
società civile. Infine Olivi ha rilevato che nella delibera della
Giunta che disapplica la norma sui 10 anni sta scritto che si ritiene
“opportuno”, mentre recepire una sentenza è un obbligo. Secondo
il consigliere dei dem l’esecutivo
con questa scelta si assume la
responsabilità
politica di essere l’unica provincia in Italia, anche tra le
regioni amministrate
dalla destra, ad avere una norma oscurantista come questa.
Denis
Paoli
(Lega) ha preso la parola per reagire
all’accusa
di razzismo che
a suo avviso le opposizioni hanno scagliato ingiustamente contro
la maggioranza e
per la quale ha
chiesto delle scuse. “Qui non si tratta di discriminazione – ha
aggiunto – ma di
distinguere
tra chi
vive
e lavora
in
Trentino da sempre contribuendo al benessere di questo territorio e
chi è invece qui da meno di meno
di 10 anni.
Zanella
ha precisato che sono stati i tribunali a definire la misura dei 10
anni di residenza discriminatoria nei confronti soprattutto di
extracomunitari e in misura minore di stranieri comunitari. E ha
ribadito di aver sempre definito razzista solo la norma.
Claudio
Cia
(FdI) ha sottolineato che la norma sul requisito dei 10 anni non
parla di diritto alla cittadinanza ma di residenza. Non c’entrano
neanche gli stranieri, perché questa stessa norma viene applicata
anche a un lombardo o a un veneto che viene a vivere e a lavorare a
Trento. La discriminazione e il razzismo non c’entrano nulla. Per
Cia in quest’aula le minoranze fanno un processo alle intenzioni
per attribuire alla Giunta e alla maggioranza un intento
discriminatorio. La
verità è che si vogliono evitare abusi per impedire a chi arriva da
fuori trentino di approfittare delle misure di sostegno alle famiglie
in vigore nella nostra provincia. Cia ha motivato il suo voto
contrario sul ddl di Olivi non perché non condivida le
preoccupazioni evidenziati dalle minoranza ma perché fino al terzo
grado di giudizio la valutazione su questa norma va sospesa in attesa
dell’esito dell’appello e dell’eventuale successivo passaggio
finale.
I
lavori in aula riprendono domani alle 10.00