Inaugurata a palazzo Trentini la mostra voluta dalla presidenza del Consiglio provinciale
Alpicultura, ritratto dell’identità alpina: 74 opere di 56 artisti dall’800 ai giorni nostri
Foto di Alessio Coser. L'esposizione curata da Massimo Parolini
74 opere di
pittura e scultura, provenienti da collezioni private, che indagano
in diversa misura il paesaggio, la cultura e le tradizioni alpine. E’
stata inaugurata questo pomeriggio alle ore 18.00 a Palazzo Trentini,
la mostra “Alpicultura, rappresentazione dell’identità
alpina nell’arte trentina dalla fine dell’800 ai giorni nostri”.
Il presidente del
Consiglio provinciale Walter Kaswalder,
nell’aprire la rassegna ospitata nelle sale espositive
dell’istituzione provinciale ha ringraziato tutti gli amici,
persone fisiche o enti, che hanno prestato le preziose opere che
permettono di avvicinarsi all’essenza della vita alpina,
trasmettendo l’unicità del suo ambiente. Ha quindi invitato i
visitatori a cercare,
in
un contesto artistico di altissimo livello, scorci di montagne,
laghi, borghi, figure maschili e femminili, flora e fauna di
montagna, santuari, chiese e rifugi del nostro splendido Trentino.
Ci sono, in questa
rassegna curata da Massimo Parolini,
il senso della vita, delle tradizioni, del lavoro in montagna,
rappresentati da artisti trentini o che hanno operato in Trentino a
partire da fine ‘800.
Pittori e scultori
come Umberto Moggioli, Fortunato Depero, Eugenio Prati, Dario e Remo
Wolf, Bartolomeo Bezzi, Tullio Garbari, Luigi Senesi, Gino Pancheri,
Bruno Colorio, Gino Castelli, Carlo Sartori, Riccardo Schweizer,
Eraldo Fozzer solo per citare alcuni dei 56 artisti
rappresentati. Le opere, raccolte dopo un lungo e accurato lavoro di
ricerca, sono in taluni casi inedite e condivise per la prima volta
con il grande pubblico, grazie alla generosità dei collezionisti,
come il Gruppo del Brenta di Luigi Ratini o il trittico
dell’inaugurazione della Funivia di Fai della Paganella di Davide
Campestrini, infrastruttura collaudata da Umberto Nobile, oppure
accora il Tramonto sulla Zillertal di Giulio Cesare Prati.
Altri lavori sono
stati strappati all’oblio e restituiti alla comunità, come i due
busti in gesso di Fozzer “scoperti per caso” dallo stesso
Parolini e da Riccardo Decarli nella Biblioteca della Sat e
restaurati appositamente per questa mostra grazie alla collaborazione
con la Soprintendenza di Trento, due opere dedicate dal noto scultore
trentino alla memoria di Adriano Dallago, morto sulla Marmolada nel
1938.
Alcuni profili
alpini, grazie alla collaborazione con gli esperti di montagna della
Sat, hanno trovato finalmente una corrispondenza “geografica”,
come il Gruppo del Sassolungo visto dal Passo Pordoi di Moggioli,
fino ad oggi “senza titolo”, oppure il lago di Molveno di
Angelico Dallabrida, oppure il dipinto dei laghi dei Piani nelle
Dolomiti di Sesto di Augusto Tommasini, che erroneamente si pensava
rappresentasse il lago di Braies.
Ma accanto alle
montagne e ai paesaggi alpini, ci sono opere che, con diverse
tecniche e soggetti, si ispirano al lavoro in montagna. Come i
ritratti delle guide alpine di Gianfranco Campestrini, di Cesarina
Seppi e di Remo Wolf. Oppure il falciatore di Cesare Ernesto
Campestrini, l’arrotino di Mariano Fracalossi, le raccoglitrici di
patate di Guido Polo o il carradore della Val Fersina di Tullio
Garbari. Non mancano le feste in campagna fissate nell’omonimo
dipinto di Carlo Sartori o le tradizioni del Carnevale mocheno
interpretate da Pietro Verdini nel suo originalissimo stile. Le
acqueforti di Dario Wolf, lontane dalla rappresentazione del
paesaggio sentimentale e romantica, dipingono la montagna come mito,
ma insieme comunicano il senso di pericolo e di timore che spesso
l’accompagna.
Come sineddochi,
il fagotto iperrealista di Gianluigi Rocca, il tronco d’albero di
Paolo Vallorz, le pareti rocciose di Bruno Colorio, ci trasportano
immediatamente in un rifugio alpino, ai bordi di un sentiero o in un
bosco ferito. Così come il portale in legno di Giuliano Orsingher
ridona dignità d’arte ad un albero sottratto all’orrore di Vaia.
Nella cura
dell’allestimento Parolini ha seguito un percorso in parte
cronologico, in parte tematico, senza trascurare negli accostamenti
le affinità di forme e i toni di colore delle opere.
Trovano in questa mostra
una collocazione perfetta e tematicamente coerente gli altorilievi
sulla storia dell’autonomia di Othmar Wikler, che fanno
parte della collezione permanente di Palazzo Trentini.
Infine, la rassegna non
dimentica i 100 anni dalla nascita di Giuseppe Sebesta,
fondatore del Museo degli usi e costumi della gente trentina, figura
eclettica, artista, cineasta, etnografo e museografo trentino e boemo
che in diverse forme contribuì ad accrescere la consapevolezza
pubblica sui valori della cultura alpina. Una sezione speciale della
mostra curata dai ricercatori del “suo” museo è dedicata ai suoi
studi, alle pubblicazioni, ai video e ai suoi coloratissimi pupazzi
ambientati tra le montagne.
Accompagna la rassegna
un catalogo a colori, completo delle foto di tutte le opere esposte e
con i contributi di Massimo Parolini e i due saggi di Giovanni
Kezich e Roberto Pancheri che riflettono sull’idea di
alpinità moderna e sul concetto di sublime, in cui le Alpi finiscono
per rappresentare l’orrido per diventare protagoniste.
Hanno
fatto da cornice all’inaugurazione i cori Gianferrari ed
Emeralda diretti dal giovanissimo maestro Michele Weiss.
La mostra è visitabile a Palazzo Trentini fino
al 7 febbraio prossimo. Dal lunedì al venerdì e la mattina del
sabato.