Incontro con il presidente Dorigatti, presenti anche la Difensore civico Longo e la dirigente Gentile
Primi passi stamane della Garante dei detenuti nella sede del Consiglio
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La
nuova garante provinciale dei diritti dei detenuti, Antonia
Menghini, ha iniziato stamane il proprio lavoro, raggiungendo
palazzo Trentini e incontrando il presidente del Consiglio
provinciale, Bruno Dorigatti. Professoressa aggregata di
diritto penitenziario alla Facoltà di Giurisprudenza di Trento,
trentina di nascita e famiglia, la docente è stata chiamata
dall'assemblea legislativa per il ruolo istituito dalla legge
provinciale 5 del 2017, con nomina che è stata votata mercoledì
scorso.
Menghini
si è subito messa in moto e oggi – nella sede del Consiglio
provinciale – ha mosso i primi passi per l'avvio dell'ufficio e
dell'attività, incontrando assieme a Dorigatti la dirigente generale
Patrizia Gentile e tutti i dirigenti dei settori consiliari.
La garante ha potuto sedersi al tavolo anche con il difensore civico
provinciale, Daniela Longo, nella cui struttura la legge ha
collocato la figura del garante, assegnando al difensore un ruolo di
coordinamento.
Menghini
ha detto al presidente Dorigatti che andrà presto in visita al
carcere di Spini e cercherà di entrare rapidamente in contatto con
tutte le realtà coinvolte – dentro e fuori - nel sistema
penitenziario. Fondamentale sarà, tra gli altri, il rapporto con il
Tribunale di sorveglianza e con la direzione dell'Uepe, l'Ufficio
ministeriale per l'esecuzione penale esterna. La garante ha in animo
di chiedere un incontro anche con il vescovo di Trento.
L'intenzione
è poi quella di centrare il cuore dell'attività sulle visite alle
persone ristrette, in modo da far percepire a tutti che ora c'è un
prezioso punto di riferimento. La docente s'è detta molto fiduciosa
in un lavoro corale, che possa davvero servire ad avvicinare il mondo
della detenzione ala nostra comunità trentina. Solo se c'è diretto
contatto con la comunità e tra le persone – ha detto stamane
Menghini - si riesce a recuperare socialmente il condannato e a
sollevarlo da una condizione segnata molto spesso da solitudine e
disperazione. Si tratta anche di un interesse economico della
società, se si pensa che un detenuto costa allo Stato 250 euro al
giorno e che attraverso un serio lavoro di supporto è possibile
ridurre in grande parte le recidive e quindi il ritorno in carcere
delle stesse persone. Per la stessa via è anche possibile agire
concretamente per deflazionare le carceri italiane, afflitte da un
sovraffollamento che conduce spesso a condizioni detentive disumane e
degradanti (come la riduzione dello spazio personale a meno di tre
metri quadrati), tant'è che l'Italia è stata già condannata per
questo dalla Corte di Strasburgo.