La conferenza di informazione sulla condizione degli anziani
Solitudine, epidemia silenziosa che uccide
Un
pomeriggio dedicato ad un tema doloroso e complesso: la solitudine
dell’anziano e di chi lo segue e supporta nelle cure fisiche e
psicologiche, quelli che oggi vengono chiamati “caregivers”.
Solitudine sempre più aggressiva, patologia sociale che diventa
patologia fisica ed è tra le maggiori cause di morte prematura.
Il
primo intervento è stato quello di Mara Dalzocchio (Lega) che, con
Vanessa Masè (La Civica) e Giorgio Leonardi (FI), ha promosso la
conferenza di informazione di oggi pomeriggio che si è svolta in
video conferenza. A nome del Presidente del Consiglio la componente
dell’Ufficio di presidenza e capogruppo della Lega, ha ricordato
che l’idea di affrontare il tema della solitudine dell’anziano è
quanto mai attuale visto l’impatto dell’epidemia sulla qualità
della vita, in particolar modo di chi ha i capelli bianchi. Anche se,
ha ricordato, le iniziative messe in campo dalla Provincia, con un
sistema integrato di assistenza, stanno dando buoni risultati ma è
importante dare uno sguardo approfondito e d’insieme sui problemi
del mondo degli anziani.
Vanessa
Masè ha affermato che l’idea di una conferenza di informazione
parte dalla necessità di avere uno sguardo lungo, rivolto al futuro,
su questo tema. Il Covid poi ha messo in ulteriore evidenza la
problematica della solitudine e del rapporto che questa ha non solo
sulla qualità della vita delle persone anziane ma anche sul loro
stato di salute psicofisico.
L’assessora
Stefania Segnana, ha ricordato che in questi mesi di pandemia c’è
stato un grande lavoro di sostegno per le fasce anziane della
popolazione anche attraverso i volontari. I servizi sono di buon
livello. ma il 20% degli anziani sono a rischio di isolamento
sociale, soprattutto nelle aree periferiche del Trentino. Quindi,
l’attenzione anche delle Comunità di valle dev’essere massima,
anche perché il lockdown ha avuto ripercussioni pesanti sulla salute
dell’anziano. Ora si sta lavorando per riaprire l’Università
della terza età e i centri diurni che hanno un’importanza decisiva
per la socialità. E, ha concluso, si è partiti con loro con le
vaccinazioni. anche per permettere alle persone in età non più
verde di tornare il prima possibile alla normalità.
Siamo
di fronte ad un epidemia silenziosa.
Il
dottor Fabio Cembrani responsabile area di Medicina legale, diritti
della persona e bioetica dell’ Associazione italiana di
Psicogeriatria ha parlato sul tema “La solitudine della modernità,
aspetti statistici e demografici”. La solitudine, ha detto
Cembrani, è un’emergenza straordinaria, anche se subdola e poco
conosciuta. Solitudine come labirinto antropologico psicologico e
sociale; solitudine che può essere vista, e storicamente è stata
vista, anche in modo positivo ma quella che oggi affrontiamo è una
“maledetta solitudine”: la differenza tra le relazioni che si
vorrebbero avere e quelle che si possono avere. Una solitudine che
porta alla perdita del senso del sé: quella, ha detto Cembrani, del
tenente Drogo isolato nella fortezza Bastiani del romanzo “Il
Deserto dei tartari” di Buzzati; quella di Robert De Niro in “Taxi
Driver” o quella espressa dal volto della donna sola, oppressa
dalla città che la circonda, di un famoso dipinto di Sironi. La
solitudine che alza del 26%, secondo studi Usa, il rischio di morte
prematura. Una patologia che colpisce, nelle società industriale, il
12% della popolazione. Una vera e propria epidemia silenziosa. Un
fattore di rischio sul quale si investe poco o nulla. Epidemia
silenziosa, ha continuato il dottor Cembrani, ben studiata dalla
scienza che ha evidenziato la sua letalità. Negli over 70 il rischio
di morte aumenta pesantemente, così come la demenza e la depressione
grave. Una ricerca canadese ha dimostrato che i rischi di malattie
cardiovascolari sono aumentati con l’isolamento legato al lockdown.
La solitudine provoca un aumento del distressing immunitario, una
minor risposta dei globuli bianchi soprattutto nei confronti dei
virus e aumenta i livelli di ossitocina impattando sul sistema
nervoso. Oggi la lunghissima parabola evolutiva della solitudine, ha
ricordato Cembrani, risulta una lente fondamentale per rileggere la
storia culturale dell’Occidente. Ma il fenomeno è in drammatica
crescita oggi, anche a causa della crisi demografica, il crollo del
50% dei matrimoni, la disarticolazione della famiglia, l’aumento
della povertà anche di quella assoluta che ha investito due milioni
di persone in Italia. L’Italia delle culle vuote ha un salvo
negativo d 300 mila unità, dato che non si registrava dal 1918 dopo
l’epidemia di Spagnola. Il dottor Fabio Cembrani ha poi ricordato
che la speranza di vita sta peggiorando soprattutto al sud, mentre al
nord aumenta la patologia mentale anche a seguito della crescita del
numero degli anziani che ormai sono l’11% della popolazione che è
comunque sempre più sola. Ben 3,5 milioni di italiani dichiarano di
non avere amici o una rete familiare, un dato statisticamente doppio
rispetto alla media europea. Il Covid, ha detto infine il medico, non
è una pandemia ma una sindemia che associa più patologie e problemi
sociali e non ha confini geografici.
La
disgregazione della famiglia tra le prime cause di solitudine.
Il
prof. Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione italiana di
psicogeriatria, ha esordito ricordando che il 55% delle famiglie
milanesi è composta da una sola persona. Solo dieci anni fa erano il
35%. Dati drammatici che ci impongono di chiederci dove andrà una
città seguendo questa strada. La società dominata dalla solitudine,
ha continuato il presidente dell’Associazione italiana di
psicogeriatria, è una società mortale. Un mondo di porte blindate
che sostituiscono sempre più le reti di relazione dalle quali ci si
allontana giorno dopo giorno. Un circolo vizioso che ancora non
sappiamo interrompere. Un tema, questo della solitudine, che non
entra nel dibattito politico (anche per questo Trabucchi ha
ringraziato Vanessa Masè per la sua iniziativa). La tenuta della
famiglia è centrale, anche per gli anziani perché aumentano i
divorzi tra persone che hanno più di 65 anni. Insomma, ci troviamo
di fronte ad un vuoto che non può essere riempito dal digitale, ma
che richiede un ripensamento delle città che sono un potente veicolo
della patologia della solitudine. Lo stesso E – commerce, ha
continuato il prof. Trabucchi, ha contribuito alla distruzione della
rete dei piccoli negozi che sono in grado di rispondere anche al
bisogno di rapporti umani. Un altro aspetto, toccato dal medico
lombardo, è quello della solitudine nel e del sistema sanitario che
si è evidenziata con particolare drammaticità durante l’epidemia
Covid. Un dramma che ci costringe a ripensare la medicina mettendo al
centro proprio la solitudine. Che fare dunque? Si è chiesto il
professore. Primo, rendere palese la sofferenza di chi è solo; fare
scelte strategiche, magari costituendo un ministero della solitudine
sul modello neozelandese, puntando, nel concreto, sul potenziamento
dei luoghi di aggregazione; aiutare le persone anche sull’esempio
inglese dove i medici possono prescrivere ai pazienti, a spese del
sistema sanitario, di frequentare un club. Nelle piccole cose,
contribuire, ad esempio, alla costruzione di ascensori, visto che ben
700 mila anziani non possono uscire di casa perché le loro case ne
sono prive. Inoltre, vanno “scovate” le persone sole, così come
si sta facendo con gli anziani che non si sono vaccinati. Serve,
insomma, una amorevole e dolce nei confronti di chi è solo.
Superare
il modello ospedaliero delle Rsa.
Il
dottor Massimo Giordani direttore di Upipa si è concentrato sul
fatto che l’allungamento della vita porta con sé la solitudine e
la mancanza di senso che si accompagna all’ultima fase
dell’esistenza nelle strutture assistenziali. Una condizione che
porta al desiderio di morire, piuttosto che affrontare questa
difficoltà. Un modo di pensare, ha affermato Giordani, molto lontano
da quello tradizionale cattolico che vedeva nell’allungamento
dell’assistenza la possibilità di pentirsi dei peccati, di
rivedere la propria esistenza. C’è poi una solitudine affettiva
che non viene riempita dalla vita di comunità offerta della Rsa.
Pesa poi la mentalità ormai diffusa che vede nell’anziano solo un
consumatore. Quindi,ha detto ancora Giordani, la struttura
residenziale deve essere pensata in funzione del contenimento della
solitudine, superando un’impostazione che l’avvicina ad
un’istituzione totale. La missione, ha detto ancora, non può
essere quella di una sorta di magazzino nel quale custodire dal punto
di vista sanitario l’ anziano, ma dev’essere quella di
incrementare la socialità coniugandola con la cura delle patologie.
Ci si deve spostare, insomma, dalla logica del magazzino a quella
della serra dove si coltiva la vita. Le buone pratiche, da tempo,
hanno permesso di valutare l’impatto delle strutture non solo sulla
salute degli ospiti, ma anche sulla loro vita, sui loro legami, anche
simbolici, sul rispetto della loro storia. Infine, va affrontata di
nuovo la sfida delle permeabilità delle strutture, del loro rapporto
con l’esterno; buone pratiche che vanno riprese dopo la drammatica
parentesi del Covid. Ma va superato il modello ospedaliero delle Rsa
per puntare, invece, ad un modello che dia importanza al senso della
vita.
“Spazio
argento”, una sperimentazione anche contro l’isolamento.
La
dottoressa Federica Sartori dirigente delle politiche sociali della
Pat ha parlato dell’esperienza dello “Sportello Spazio Argento”
che ha tra gli obiettivi principali quella di dare una risposta di
sistema ai bisogni degli anziani. La sperimentazione è in corso
nelle comunità Valle dell’Adige, Giudicarie e Primiero che hanno
avuto finanziamenti Pat e hanno avuto il supporto nella progettazione
da Eurisce. Il Tavolo tecnico, composto da Pat, Apss, Upipa,
Comunità, cooperazione e sindacati dei pensionati, ha il compito di
seguire questa fase sperimentale che è monitorata scientificamente
dalla Fondazione De Marchi e che comprende risposte all’isolamento
degli anziani.
C’è
l’idea di creare alla Civica di Trento un nido da 0 a 100 anni.
Il
dottor Mario Chini, direttore Apsp Civica di Trento, ha ricordato il
progetto Fare (Formare assieme responsabilmente) che ha coinvolto,
sul tema della solitudine, molte componenti della comunità, e ha
prodotto la nascita di gruppi di auto mutuo aiuto. Un’esperienza
riuscita che può essere vista come un modello. Un’altra iniziativa
della Civica è stata la creazione di un ambiente protesico, cioè di
un sistema tecnologico che garantisce il controllo dell’ospite
senza sottoporre i sanitari ad un’eccessiva carica di stress.
Un’esperienza, ha ricordato, che si vorrebbe estendere anche alle
abitazioni degli anziani. Insomma, Mario Chini, ha sottolineato
l’importanza della tecnologia anche per potenziare il cohousing
e per facilitare l’interfaccia
tra l’anziano e l’assistenza. Alla Civica, ha aggiunto Chini, si
sa pensando ad un progetto
per aprire (c’è un esempio
a Piacenza) un nido di conciliazione: cioè
un nido non da 0 – 3 anni,
ma 0 – 100. Infine, il direttore della Civica, ha detto che si deve
pensare in futuro a strutture piccole che permettano di far stare gli
anziani nel loro ambiente, restituendo i servizi ai territori.
Va
ripensato il sistema socio – assistenziale.
Renzo
Dori presidente della Consulta per la salute, che ha ringraziato per
la sensibilità Vanessa Masè, ha
ricordato che gli anziani nell’emergenza Covid hanno pagato un
costo altissimo, con troppe
morti precoci e danni
psicofisici, e anche
sul piano dei diritti. Non solo, ma la pandemia ha fatto emergere la
loro condizione di difficoltà e le esigenze di ascoltarli per
progettare le risposte alle loro esigenze. Sono emerse le carenze dei
rapporti umani che devono
fare parte della terapia;
carenze
che hanno condotto a fenomeni come la depressione, il mutismo, il
rifiuto dei rapporti umani. Va affrontato anche
la questione degli anziani
che vivono da soli che sono il 20% in Trentino, ben 25 mila, e che
hanno subito pesantemente l’isolamento causato dal
Covid. Già prima del Covid,
ha ricordato Dori,
il 16% soffriva isolamento; il 65% non riusciva a partecipare alla
vita comunitaria. Le risposte
del sistema assistenziali sono
limitate e serve più coraggio per rimettere mano al sistema socio –
assistenziale, anche
investendo più risorse. Va fatta una riforma per dare risposte vere
alle famiglie che in Trentino
hanno a carico ben il 90%
degli anziani. Un capitolo importante dev’essere inoltre
quello della medicina
territoriale integrandola con i servizi socio – assistenziali. Su
questo tema va aperto un dibattito nella comunità e la riflessione
introdotta da questa conferenza di informazione rappresenta un passo
importante.
Il
dramma del Covid, esperienza per riprogettare il sistema.
Il
dottor Roberto Povoli, direttore dell’Apsp S.Vigilio di Spiazzo
Rendena, ringraziando anche lui Vanessa Masè, ha ripercorso l’anno
difficile del Covid. La pandemia ha aggravato la condizione
psicologica degli anziani (il 15% ha dovuto ricorrere a farmaci) e si
sono viste le difficoltà sul lato fisico. Il Covid e la solitudine
che ha portato con sé ha costretto a cambiare l’organizzazione
interna delle strutture, a rimodulare la risposta sanitaria, i
rapporti con i caregivers e
con la popolazione. Una prova dura, ma che ha prodotto un modello
dinamico anche per gestire la solitudine, che servirà per elaborare
un nuovo progetto per il futuro. Ma
ci si deve fermare un attimo, ha aggiunto Povoli, per rivedere quelle
che sembravano convinzioni; fermarsi per elaborare l’esperienza
della relazione di cura fatta con questa grave crisi. Riflettere
sulla necessità di un cambiamento
anche a partire dalle piccole
cose, per andare verso un’
assistenza riprogettata, sicura, precisa, di qualità elevata che
soddisfi residenti
e caregiver.
Vanessa
Masè, chiudendo la conferenza di informazione, ha affermato che
l’incontro, con cuore e sensibilità, ha saputo mettere al centro
la persona nonostante la drammaticità della situazione che è stata
descritta.
Mara
Dalzocchio, ringraziando anche lei la consigliera Masè, ha
sottolineato la qualità e l’importanza degli interventi.