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05/09/2015 - Documenti e Interventi

Dorigatti: "Occorre la riscoperta collettiva del valore della partecipazione"

Giornata dell'Autonomia: l'intervento del presidente del Consiglio alla cerimonia di apertura

Dorigatti: "Occorre la riscoperta collettiva del valore della partecipazione"

"Serve un tavolo di riflessione per riscrivere lo Statuto"

Dorigatti: 'Occorre la riscoperta collettiva del valore della partecipazione'
​​Il presidente del Consiglio provinciale Bruno Dorigatti è intervenuto stamane alla cerimonia di apertura della Giiornata dell'Autonomia 2015, svoltasi in Sala Depero, nella sede della Provincia. Ecco cos'ha detto. 

"Signor Presidente della Provincia autonoma,

signor Presidente del Consorzio dei Comuni,

signor Presidente del Consiglio dei Giovani,

signore Consigliere e Consiglieri,

illustre Professor Mieli,

Autorità e gentili Ospiti,

nel porgere a tutti Voi il più cordiale benvenuto a questo importante momento di riflessione attorno alla nostra specialità ed alla sua storia, desidero anzitutto ringraziare il professor Paolo Mieli, che ha voluto accogliere il nostro invito: sarà un onore poter ascoltare il suo  contributo di lettura sulle vicende di questa terra, nel centesimo anniversario della Grande Guerra e nel settantesimo di conclusione del secondo conflitto mondiale.

La nostra è, senza dubbio, una identità complessa. Nulla è mai stato semplice, nello scorrere dei secoli, fra queste vallate, percorse dai flussi della storia europea. Ciò nonostante, il Trentino ha sempre assolto ad una funzione di "ponte" fra la cultura latina ed il mondo germanico, pur soffrendo lacerazioni profonde, soprattutto in quel ventesimo secolo che ha ridisegnato la mappa del mondo intero.

È proprio il primo conflitto mondiale che segna uno spartiacque fra il "prima" ed il "dopo" della nostra vicenda di popolo: perché la guerra cambia in profondità le identità plurali di questo territorio, incidendo dolorosamente sul tessuto sociale ed economico delle nostre comunità e non offrendo pace a queste terre alpine.

Alla fine del conflitto i trentini rientrano, infatti, in un territorio completamente distrutto; privo di orizzonti identitari; smarrito nella difficoltà d'inserimento nel nuovo contesto nazionale, a causa delle reciproche diffidenze e delle incomprensioni che segnano gli anni del dopoguerra.

In seguito, i danni del nazionalismo fascista ed il dramma dell'annessione al Terzo Reich hanno ulteriormente inciso un tessuto già ferito: le scintille degli opposti estremismi, anche negli anni del boom economico, hanno rischiato d'innescare pericolose detonazioni sociali.

In questo scenario difficile e per molti versi drammatico, si staglia la forza politica e l'intuizione prospettica del "Patto Degasperi – Gruber", dal quale trae origine quella pacifica convivenza, indicata ovunque come modello di dialogo, di tolleranza e di sviluppo, attraverso il prezioso strumento dell'autogoverno; strumento che ha sempre avuto il raro pregio di sapersi adattare al mutamento delle condizioni politiche e storiche, figlie del progresso e della crescita.  

L'autonomia, infatti, non si è limitata ad essere una risposta ai bisogni contingenti, ma si è fatta carico del difficile compito di immaginare il futuro per orientare scelte ed indirizzi di sviluppo, al di là del puro esercizio amministrativo, attraverso un costante dialogo con i corpi sociali e con le strutture intermedie.

Questa vocazione dell'autonomia appare oggi ancor più attuale, in un tempo in cui l'evidente vuoto, lasciato dall'abdicazione delle ideologie e delle loro rappresentanze, non può essere abbandonato al saccheggio dei populismi ed alla sola ricerca del consenso, ma va invece riempito di nuovi contenuti propositivi.

È la domanda di un nuovo patto sociale quella che sale dalla nostra terra, con l'obiettivo di coinvolgere ogni livello della realtà; rifiutando, al contempo, la deriva dentro le categorie del rancore e dell'indifferenza. Dobbiamo ritrovare invece l'essenza di una comunità che - se nel passato ha esplorato con coraggio i cambiamenti, anticipandoli e quindi governandoli - oggi non può barricarsi nella gelosa difesa del precostituito. Non cadiamo nell'errore di chiuderci in quell'isolamento del "Trentino piccolo e solo", che i "Padri" della nostra autonomia hanno sempre individuato come pericolo letale.

Per rispondere a questa istanza, può quindi rivelarsi utile anche l'attuale fase di riforma costituzionale: essa deve saper tener conto dell'esperienza delle autonomie speciali, quali possibili modelli di un ridisegno - in chiave europea - dell'ordinamento degli Stati e dei loro rapporti con i territori e le comunità che li abitano.

Certamente, però, guardare avanti non consente di prescindere dall'analisi di come agiamo e di quali obiettivi perseguiamo nel presente. Per decenni il Trentino è stato un laboratorio positivo dell'intuizione degasperiana, circa il valore di fare ed essere, quando possibile, migliori dello Stato centrale. Ciò si è realizzato, allora come oggi, grazie a strumenti di forte coesione sociale e culturale, la cui elaborazione spetta non solo alla politica ed alle coalizioni di governo, ma anche ad un più ampio coinvolgimento di altri soggetti: dalle forze di opposizione alle parti sociali; dalle agenzie culturali e formative ai mondi dell'associazionismo, della solidarietà e dei diritti; dalle periferie più lontane ai centri urbani, che maggiormente vivono il disagio delle mutazioni epocali in corso.

Se questa è ancora la strada da percorrere, serve allora una grande chiamata alla condivisione, magari attraverso una capillare "operazione d'ascolto", diffusa sul territorio e condotta in parallelo dal potere esecutivo e da quello legislativo, per ritrovare, dentro un confronto che potrà anche essere aspro, nuova fiducia e coscienza dei rispettivi ruoli e delle rispettive responsabilità: con l'umiltà di chi sa costruire insieme, anziché dirigere in solitudine.

In questo contesto può essere quindi utile proporre anche una sorta di "tavolo di riflessione" alta, attorno ai temi più urgenti: primo fra tutti quello di una riscrittura statutaria capace di sguardo lungo, di saldo legame regionale e di forte interazione con le realtà che ci circondano, per dar vita ad un modello "glocale" di sviluppo, opportuno anche per un'Europa in affanno, priva di prospettive regionalistiche e sempre più incapace di contrastare le emergenti culture neonazionaliste.

Investimenti in istruzione e cultura, sostegno a ricerca e innovazione, buona occupazione e stimolo alle imprese, un welfare inclusivo e universalistico, politiche di pace e tolleranza: sono questi gli antidoti a possibili crisi di senso e di prospettiva dell'autonomia, dettate anche da una progressiva disattenzione delle forze politiche.

Ma se la politica è tutt'altro che immune da colpe, anche la società deve uscire dalla prigionia delle esasperate tutele pubbliche, che uccidono responsabilità sociale e cultura d'impresa, avviandosi invece, con coraggio ed intelligenza, sul terreno del cambiamento.

L'approdo che ci attende è, insomma, quello della riscoperta collettiva del valore della partecipazione, basata su principi di sussidiarietà, di concertazione e di programmazione quale reale metodo di governo. Ma anche e soprattutto su quella solidarietà che è nel nostro patrimonio sociale: di fronte ai drammi del presente, non possiamo soccombere sotto la demagogia, i facili slogan o la retorica.

Dentro questo ambito, diventa allora strategico incrociare il nostro passo con quello del mondo che ci circonda. Dobbiamo individuare innovative opportunità di crescita, anche ricercando nuove occasioni economiche e nuovi soggetti da attrarre sul nostro territorio: valorizzando, nello stesso tempo, tutte le risorse locali e per primo il lavoro, che rimane centrale in ogni politica di sviluppo.

Per un nuovo modello di prosperità diffusa e di effettiva modernità, non dovremo guardare ancora a vecchie teorie infrastrutturali: le autostrade di cui abbiamo bisogno sono quelle "digitali", capaci di metterci in relazione con il mondo globale che ci circonda. Evitare queste scelte innovative significa, al contrario, perdere il treno del futuro e ricollocare il Trentino su microdimensioni incapaci di competere con il resto dell'Europa.

Questo è il futuro che ci attende ed è un futuro di speranza e di progresso per il Trentino, per l'Italia e per l'Europa.

Concludo qui, conscio dell'imperativa necessità di percorrere questa strada fino in fondo, per presentarci al giudizio della storia e della nostra gente, senza timori e senza rimorsi, ma con la coscienza di aver fatto solo il nostro dovere. Grazie!​"